Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, I.djvu/26

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6 vita

domisi spontanea l’occasione di notar cosa inavvertita a chi tante volte ristampò il Vasari, ed è che non di rado la vecchia edizione vince in pregio di verità e di esattezza la seconda, per la quale il buon autore adottò troppo soventi inopportune correzioni. Per figura: il Cecca ingegnere fiorentino morì sotto Piancaldoli nel 1488, lo dice Machiavelli (1), e di tal anno è la lapide citata dal Vasari nell’edizione prima; ora, nella seconda ei scrisse l’anno 1499, con manifesto errore ripetuto poi da tutti (2).

  1. Istorie Fiorentine. Lib. VIII ad ann.
  2. Essendo rarissima e quindi poco conosciuta questa edizione principe, io ne riporterò qui la vita del nostro autore, la quale molto differisce dalle vulgate, e, se non altro, ha un error di meno, non vi si parla cioè delle fabbriche di Pienza. Tralascio il solito elogio proemiale. «Francesco di Giorgio, scultor sanese. Il quale non manco fu eccellente et raro scultore, che egli si fosse architetto: come apertamente mostrano le figure da lui dopo la morte lasciate a Siena sua patria: le quali di bronzo con bellissimo getto furono due Angeli oggi locati su lo altar maggiore del Duomo di quella città, i quali egli con sua grandissima comodità fece et rinettò. Era Francesco persona che faceva l’arte più per ispasso et per piacere, sendo ben nato et di sufficienti facoltà dotato; che per avarizia o altro comodo, che trar ne potesse. Laonde cercò ancora di dare opera alla pittura: et fece alcune cose non così perfette però, come nella scultura e nella architettura. Perilchè avendo egli avviamento per il duca Federigo di Urbino, andò a servigi di quello; et il mirabile palazzo d’Urbino, fattone prima il modello, gli condusse quale e’ si vede, il che fu cagione di non manco farlo tener vivo fra gli huomini per tal memoria, che per la stessa scultura sua. E s’e’ vi avesse atteso, non è dubbio ch’egli non ne fosse restato sempre famoso. Atteso che infiniti scrittori, per l’Academia che in tal luogo in quel tempo si ritrovò, hanno talmente celebrato l’edificio; che ben può Francesco di tale opera quanto altro artefice contentarsi. Egli ricevette da quel principe infinite carezze, essendo quello amator singolarissimo di tali huomini: et inoltre perchè a Siena se ne tornò con premio, meritò per gli onori et pel grado, che a Siena sua patria aveva acquistato, essere eletto de’ Signori di quella città. Ma pervenuto finalmente ad età d’anni XLVII, per un male, ch’alle gambe gli venne, indebolì talmente; che poco tempo durò: nè gli valsero, o bagni, o altri rimedii della vita. Furono da lui le statue e l’architetture fatte l’anno MCCCCLXX, et acquistonne questo epitaffio.

    «Quae struxi Vrbini aequata palatia caelo:
    Quae sculpsi et manibus plurima signa meis;
    Illa fidem faciunt ut novi condere tecta
    Affabres (sic); et scivi sculpere signa bene.»

    Edizione del 1550. Parte II, pag. 432. Di questo epitaffio ne riparlerò a luogo. — Intanto mi sia lecito notare quanta confusione nasca dalle solite espressioni che il Vasari pare abbia tolte da Plinio, per le quali dice di un artefice che fiorì, o che le opere sue furono circa