Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, I.djvu/343

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libro vi. 323

per la naturale nimicizia che è fra li concivi miei e quelli (1); ma quando le opere loro potessero essere presenti a qualunque le ragioni mie leggesse, facilmente si mostreria le ragioni mie tutte esser vere, come più volte nell’esame agli astanti ho dimostrato: e nientedimeno spesse volte questi ignari, con piccola cosa ed accattata senza ragione, sono più apprezzati che i veri inventori: e spezialmente questo avviene nelle patrie degli scientifici, perchè nissuno profeta è accetto nella

  1. Queste moderate parole di Francesco non si possono riferire che ad un qualche ingegnere fiorentino da cui egli si credeva derubato nelle sue invenzioni. Tal era la miseranda condizione de’ municipii italiani che le basse gelosie e l’odio fomentato dai governanti prendesser nome di naturale nimicizia. Ora, chi sarà questo fiorentino? Il Bianconi (Lettere Sanesi, III, pag. 78) sospetta che sia l’Alberti; non può essere, perchè questi sin dal 1452 presentò i libri suoi al Pontefice, come narra Mattia Palmieri (Additiones Florentinae, I, 241). Non si può intendere neppure pel Filarete che scrisse nel 1460, come appare dal libro suo XIV. Forse accenna Francesco a quel Bernardo fiorentino, sia egli il Rossellini o l’altro, che lavorò per Pio II: forse a Giuliano da S. Gallo, col quale competè per la fabbrica della Sapienza di Siena, e nel di cui taccuino vedonsi piante di fortezze combinate con principii conformi a quelli dall’autor nostro insegnati: forse, e più probabilmente, a Baccio Pontelli, che, presente Francesco, soprastava al palazzo d’Urbino, e pare subentrasse a lui nelle grazie di Giovanni Sforza, poichè questi non più di Francesco ma di Baccio servissi per la Rocca di Sinigaglia. Con Leonardo da Vinci ingegnere famosissimo de’ tempi suoi ebbe conoscenza (Vita di Francesco, capo V) nel 1490, e molti fra i disegni del codice Ambrosiano richiamano quelli di Francesco ne’ codici Sanesi, Torinesi e Fiorentini, per le meccaniche specialmente, per le mine e gli scafandri: e questi codici sono con certezza pressochè tutti anteriori a quello di Leonardo. Io qui non parlo che di architetti fiorentini coi quali ebbe Francesco qualche relazione, onde aggiungerò fra Luca Paciolo, nativo di Borgo S. Sepolcro ma solito a convivere con Fiorentini de’ quali era suddito, onde chiamali suoi compatriotti (Divina Proportione f.° 30): ebbe questi (della qual taccia fu appena mondato da autori moderni) a’ tempi suoi o poco dopo, grande e brutta fama di plagiario, e nel trattato di architettura contenuto nella Divina Proporzione trovasi qualche cosa che pur trovasi ne’ libri di Francesco: aggiungasi che il Paciolo convisse in Urbino coll’autor nostro; veramente, il trattato suo è stampato nel 1509, ma nella prefazione avverte che già avevalo presentato colle figure disegnate da Leonardo a Lodovico il Moro prima della sua caduta, cioè prima dell’anno 1500, anzi prima ancora, poichè terminato avevalo nel settembre del 1497 (Pungileoni, Comentario su Fra Luca Paciolo).
    Contuttociò io non voglio asseverare che veramente questi artisti furato avessero a Francesco le invenzioni suo, poichè se non tutti, almeno alcuni fra essi troppe cose fecero per non aver bisogno di mendicarne dagli altri: ma era già a que’ tempi il plagio vizio frequentissimo, e sia scusato Francesco se trovando presso altri cose da sè scoperte, appassionato volesse vedere i rivali suoi plagiari anzichè inventori. E qualche volta ne avrà anche avuto ben d’onde.

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