Pagina:Mastriani - La cieca di Sorrento 2.djvu/135

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sità dilicata le grazie ingenue, il mesto sorriso: alcuni di loro vicino a lei conversavano di Albina di Santanges, la cui breve comparsa nella società napoletana avea lasciato indelebili rimembranze e rammarichi.

Molte distinte signore si erano accostate alla figliuola del marchese Rionero e le volgeano con amorevolezza la parola. Beatrice era nel più crudele imbarazzo, perciocchè dovea sorridere, dovea conversare, dovea simular calma e indifferenza, mentre avea sul cuore una ambascia mortale, una voglia grandissima di pianto.

I lunghi anni di solitudine in cui era vivuta per effetto della sua cecità, l’attitudine naturale del suo spirito malinconico, la recente malattia di cui ella non ancora era libera del tutto e che lasciato le aveva un abbattimento, un languore invincibile, quel panorama di felicità che si svolgeva ai soci occhi e che tacitamente l'umiliava o faceva almeno così strano contrasto con lo stato della sua anima e da ultimo un vago sentimento di ripulsione che elle sentiva da al«quanti giorni per l’uomo che le era consorte; tutte queste cagioni non potevano ispirare a Beatrice quella letizia che sfolgorava sulla fronte delle altre donne.

Ella era pallida e dimessa: cercava di ecclissarsi sotto le pieghe de’ coltrinaggi; avrebbe data la sua vita per non istare in quel luogo, per ritrovarsi nella sua cameretta a Sorrento.

Gaetano non si vedeva nel salone; egli aveva addotto, per non ballare, la scusa della poca ricercatezza della sua acconciatura, che infatti