Pagina:Mastriani - La cieca di Sorrento 2.djvu/142

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sava che lo stato in cui mi trovava era tale che non mi permetteva neanche di vendicarmi io mi arraffava i capelli, mi mordeva le braccia e spasseggiava demente di furore, nelle stanze del mio appartamento, urtando contro le suppellettili e contro le pareti.

«Oh tremenda lezione! Tutti quegli amici che pocanzi eran seduti meco a lieto banchetto, che si estasiavano su i sentimenti di amicizia, che mi stringevano la mano protestandomi la loro eterna devozione, scomparvero non sì tosto io fui colpito dalla disgrazia: i pochi che ancora io mi veggeva d’attorno e che tuttora sembravano esser tocchi dal mio stato avevano uno scopo molto più ignobile e scellerato, quello di profittare della mia cecità per carpirmi danaro, che ei dicevano spendere per medici e per rimedi.

Medici e rimedi! A che mi giovavano? Non si era dichiarato non poter io mai più riacquistar la vista?

Io era rubato da’ miei servi, da’ miei amici; lo scherno e il motteggio non mancavano alle volte; e nessun’amica parola confortava i miei giorni di orrenda solitudine! Le lagrime mi rifluivano tutte sul cuore... Io non era più riconoscibile, per quanto io stesso mi accorgeva, perocchè, toccandomi il volto, il trovava considerabilmente assottigliato, e tutti i miei vestiti mi sembravano più larghi, lo mangiava pochissimo, più non fumava: tutto ciò che mi aveva altre volte allettato ora io detestava, malediceva.

Oh quanto era misero nel mezzo delle mie