Pagina:Mastriani - La cieca di Sorrento 2.djvu/172

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Beatrice si destò da un sonno che avea fatto, ma così placido, così sereno come se destata si fosse ne’ suoi giorni di freschezza e di salute.

Le guance erano leggiermente colorate, lo sguardo più vivo e meno annebbiato da foschi e sinistri vapori...

La famiglia che le stava d’attorno la vide a destarsi con tanta placidezza e muover sorridendo gli occhi amorosi su tolti quelli che la circondavano; una speranza rinacque nel cuor di tutti; un lampo di gioia sfavillò negli sguardi che scambiaronsi Rionero e Gaetano sulla fronte di Beatrice, nel suo sguardo, su tutta la sua fisonomia vagava qualche cosa di straordinario come sul volto di un artista nel momento di afferrare un concepimento divino... Le sue pupille si issarono lungo tempo nel padre, poscia su Gaetano, indi su Geltrude, su Carolina, sulle cameriere: quelle pupille aveano un linguaggio solenne: in quello sguardo fisso, incantato, in quello sguardo pregno di amore e di vita che dardeggiava dal volto immobile di un cadavere, in quello sguardo, luce dell’anima immortale vicina a sprigionarsi da’ suoi ceppi mortali, era un mistero inenarrabile, una potenza di affetti, uno sfogo di lacerante tenerezza.

Rionero, Gaetano, Carolina, Geltrude rimanevano affascinati da quello sguardo... Pallidi, muti, il cuore battea loro con forza estrema ed aspettavano anelanti che la fanciulla avesse loro rivolta la parola.

Beatrice non indugiò a far adire la sua voce.