Pagina:Mastriani - La cieca di Sorrento 2.djvu/63

Da Wikisource.

— 63 —

lei il suo destino, e mentre l’anima sua era brace ardentissima, il suo corpo era gelo.

Un giorno, in sul declinar della luce, Gaetano e Beatrice eran soli nella villetta...

Annunziavasi una di quelle serate di Sorrento, la cui bellezza non può giammai essere imitata dalla penna o dal pennello.

L’aria non era che profumo. I fiori d’aranci spandeano su tutta la campagna i loro balsamici effluvii così inebbrianti!

La campana della parrocchia suonava a tocchi lentissimi l’ultima salve del giorno, e raccoglievasi quindi scura scura nel suo campanile, come il monaco nel suo cappuccio... Il giorno che si morìa non aveva altra apoteosi che il gemito di quel bronzo.

La luce cominciava a perderai nel cielo; la sua ìride brillantissima si dileguava nell’ombra malinconica che sorgea dall’oriente, come la bella poesia del cuore si perde nel l’età dei foschi pensieri. Appena un ultimo getto di colori vacillava nelle pieghe di bigia nugoletta, che a poco a poco ai stendeva e ingrossava come uno strato di cenere gittato sulla fossa del sole.

I venti taceansi sotto il nascente fogliame di aprile.

Dall’altra parte dell’orizzonte la luna s’innostrava sulla schiumosa orlatura di candida nube: pareva una pallida rosa abbandonata sovra un guanciale. E vagamente si andava insinuando attraverso le vaporose filacciche di quella bambagia; si steccava poscia sul bruno fondo