Pagina:Mastriani - La cieca di Sorrento 2.djvu/68

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— Oliviero, le dicea la fanciulla, non iscorgete voi sull’alto di quel colle quella stella lucidissima che mio padre dice chiamarsi Espero?

— Sì, Beatrice.

— Ebbene, sappiate ch’io sono tanto felice allorchè quell’astro comparisce sull’orizzonte. E più di un mese che i miei occhi si fissano ogni sera su quella gemma del cielo, e non so dirvi quello che prova il mio cuore. Le lagrime mi spuntano così grosse ch’io le sento sgocciolarmi su per le gote. Non saprei dire quale arcana simpatia esiste tra me e quella stella; essa mi guarda, mi sorride, mi attira. E penso a mia madre... mi pare talvolta che ella mi chiami da quel mondo così lontano... Oh com’è bella la volta del cielo allorchè nessun vapore ne offusca lo splendore abbagliante!.. Vi confesso, Oliviero, che quando i miei occhi si levano al cielo, sento qui nel fondo del mio cuore un desiderio... come di morire tra mio padre e voi, sulla sommità di que’ colli visitati da stelle così pure, tra le aurette e i fiori. Oh come dev’esser bello il morire a tal guisa! Il corpo rimane in sull’erbe ed i fiori, accanto a un cipresso, e l’anima vola in grembo di quella felicità alla quale aspiriamo; l’anima, sprigionata da questi ceppi mortali, corre a ritrovare Dio e la madre... Oh madre mia, madre mia, io ti amo tanto, io anelo così di rivederti che questa vita che mi tiene da te lontana, mi sembra eterna!

Gaetano, pallido, stupefatto, ascoltava la fanciulla dalla cui anima vergine ed innocente