Pagina:Mastriani - La cieca di Sorrento 2.djvu/90

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più piccola cosa. Beatrice si schermì per quanto potè, chè lo stato della sua anima non le per metteva di abbandonarsi a distrazioni di sorta; ma vinta e soggiogata dalle preghiere di tutti ed in ispecie della sua amica Carolina, si sedè al pianoforte e cantò la Cieca di Sorrento, quella romanza così triste, così patetica, che ella solea cantare ne’ suoi giorni di tenebre e di angosce.

La sua voce fu pianto amarissimo allorchè giunse alle parole:

Nell’albor del viver mio
     Vidi in sogno il paradiso,
     Ed un angiolo di Dio.
     Mi baciava gli occhi e il viso.

Beatrice avea voluto cantare per l’ultima Volta quella canzone che le ricordava la sua cecità; era un ultimo sospiro alla sua verginità, un addio alle solinghe gioie della sua vita passata. Mal potremmo dipingere quel che provò il cuor di Gaetano ascoltando quella flebil melodia che gli rivelò la prima volta i tesori di amore che si nascondeano nel cuore della cieca; quella melodia che egli aveva imparata perfettamente a memoria e che soleva racconsolarlo nelle sue ore più torbida e disperate; quella melodia che gli venia sulle labbra allora che infermo per la ferita alla spalla si giaceva in letto nell’Albergo delle Crocelle.

Beatrice fu udita a cantare nel più rigoroso silenzio, e quando ebbe finito si trovò tra le