Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/192

Da Wikisource.

— 184 —


Ma Diodata, che gli voltava le spalle, col petto pigiato contro la ringhiera, quasi si sentisse morire dal crepacuore, non potè frenare i singhiozzi che la scuotevano dalla testa ai piedi. Allora il suo padrone scappò a bestemmiare:

— Santo e santissimo!... santo e santissimo!

In quel momento comparve la zia Cirmena in cima alla scala, con lo scialle in testa, il borsone infilato al braccio, e gli occhi umidi di lagrime, come si conveniva alla parte di madre che l’era toccata quella volta.

— Eccomi qua, don Gesualdo! eccomi qua! — E stese le braccia come un crocifisso per buttargliele al collo. — Non ho bisogno di farvi la predica... Siete un uomo di giudizio... Povera Bianca!... Sono commossa, guardate!

Cercò nel borsone il fazzoletto di battista, fra la roba di cui era pieno, e si asciugò gli occhi. Poi baciò di nuovo lo sposo, asciugandosi anche la bocca con lo stesso fazzoletto, e chiamò il servitore che aspettava giù col lampione.

— Don Camillo! Accendete, ch’è ora di andarsene. Don Camillo? ehi? cosa fate? dormite?

Dalla strada rispose Ciolla, ripassando col chitarrino:


Amore, amore, che m’hai fatto fare?


E degli altri sfaccendati gli andavano dietro, facendogli l’accompagnamento coi grugniti.