Vai al contenuto

Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/290

Da Wikisource.

— 282 —

la corona di carta in testa. Stavolta toccò a don Ninì di farsi scuro in viso. Ella, come lo sapesse, socchiuse di nuovo l’uscio, sporgendo il braccio e l’omero nudi:

— Barone, se aspettate alla fine dell’atto... quei versi che desiderate leggere li ho lì, in fondo al baule.

No! nessuna donna gli aveva data una gioia simile, una vampata così calda al cuore e alla testa: nè la prima volta che Bianca gli s’era abbandonata fra le braccia, trepidante; nè quando una Margarone aveva chinato il capo superbo, mostrandosi insieme a lui, in mezzo al mormorìo che suscitavano nella folla. Fu un vero accesso di pazzia. Buccinavasi persino che onde farle dei regali si fosse fatto prestare dei denari da questo e da quello. La baronessa, disperata, fece avvertire gli inquilini di non anticipare un baiocco al suo figliuolo se no l’avevano a far con lei. — Ah!... ah!... vedranno! Mio figlio non ha nulla. Io non pago di certo!...

C’erano state scene violente fra madre e figlio. Lui ostinato peggio d’un mulo, tanto più che la signora Aglae non gli aveva lasciato neppur salire la scala della locanda. Infine gli aveva detto il perchè, una sera, al buio, lì sulla soglia, mentre Pallante era salito avanti ad accendere il lume:

— È geloso!... Son sua!... sono stata sua!...