Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/303

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intero era stato sottosopra ventiquattr’ore, e non si sapeva quel che poteva capitare un giorno o l’altro. Oramai, per amore o per forza, mastro— don Gesualdo s’era ficcato nel parentado, e bisognava fare i conti con lui. Tutti perciò volevano vedere la bambina — un fiore, una rosa di maggio. — La zia Rubiera abbracciava Bianca, come una mamma che abbia ritrovata la sua creatura, asciugandosi gli occhi col fazzoletto diventato una spugna.

— No! Non ho peli sullo stomaco!... Non mi pareva vero, dopo d’averti allevata come una figliuola!... Sono una bestia.... Son rimasta una contadina.... tale e quale mia madre, buon’anima.... col cuore in mano....

Bianca tutta adornata sotto il baldacchino del lettone, pallida che sembrava di cera, sbalordita da tutta quella ressa, non sapeva che rispondere, guardava la gente, stralunata, cercava di abbozzare qualche sorriso, balbettando. Suo marito invece faceva la sua parte in mezzo a tutti quegli amici e parenti e mirallegro, col viso aperto e giulivo, le spalle grosse e bonarie, l’orecchio teso a raccogliere i discorsi che si tenevano intorno a lui e dietro le sue spalle. La zia Cirmena, infatuata, rispondeva a coloro che auguravano la nascita di un bel maschiotto, più tardi, che già le femmine sono come la gramigna, e vi scopano poi la casa del bello e del buono per andare a maritarsi....