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— Ecco vostra nipote... — balbettò la sorella con un tremito nella voce. — Isabella... vi rammentate?... È stata in collegio a Palermo...
Egli fissò sulla ragazza quegli occhi azzurri e stralunati che fuggivano, di qua e di là, e mormorò:
— Ah!... Isabella?... mia nipote?...
Guardava inquieto per la stanza, e di tanto in tanto, come vedeva un oggetto dimenticato sul tavolino o sulla seggiola zoppa, del refe sudicio, un fazzoletto di cotone posto ad asciugare al sole, correva subito a nasconderli. Poi si mise a sedere sulla sponda del lettuccio, fissando l’uscio. Mentre Bianca parlava, col cuore stretto, egli seguitava a volgere intorno gli occhi sospettosi, pensando a tutt’altro. A un tratto andò a chiudere a chiave il cassetto della scrivania.
— Ah!... mia nipote, dici?...
Fissò di nuovo sulla giovinetta lo stesso sguardo esitante, e chinò gli occhi a terra.
— Somiglia a te... tale e quale... quand’eri qui...
Sembrava che cercasse le parole, cogli occhi erranti evitando quelli della sorella e della nipote, con un tremito leggiero nelle mani, il viso smorto e istupidito. Un istante, mentre Bianca gli parlava all’orecchio, supplichevole, quasi le spuntassero le lagrime, egli di curvo che era si raddrizzò così che parve altissimo, con un’ombra negli occhi chiari un rimasuglio del sangue dei Trao che gli colorava il viso scialbo.