Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/438

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brava che non potesse staccarsi dal letto dell’ammalata, rincalzando la coperta, sprimacciandole il guanciale, mettendole sotto mano il bicchier d’acqua e le medicine, con la faccia lunga, sospirando, biasciando avemarie. Voleva pure che restasse la sua ragazza ad assistere la notte, se mai. Donna Lavinia acconsentiva di tutto cuore, dandosi da fare anche essa, premurosa, impadronendosi già delle chiavi, vigilando su tutto, come una padrona.

— No!... — mormorò Bianca con la voce rauca. — No!... Non ho bisogno di nessuno!... Non voglio nessuno!...

Li seguiva per la camera con l’occhio inquieto, sospettoso, diffidente, con un certo tono di rancore nella voce cavernosa. Sforzavasi di mostrarsi più forte, sollevandosi a stento sui gomiti tremanti, cogli omeri appuntati che sembravano forare la camiciuola da notte. Poscia, appena le Zacco se ne furono andate, ricadde sfinita, facendo segno al marito d’accostarsi.

— Sentite!... sentite!... Non le voglio più!... Non le fate venir più quelle donne... Si son messe in testa di darvi moglie... come se fossi già morta.

E col capo seguitava a far segno di sì, di sì, che non s’ingannava, col mento aguzzo nell’ombra della gola infossata, mentr’egli, chino su di lei, le parlava come a una bimba sorridendo, con gli occhi gonfi però.