Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/484

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— Ah?... la festa?... a don Gesualdo?... È giusto! È venuto il vostro tempo, caro mio... Siete il campione della mercanzia!...

Ma finalmente, al sentire che invece volevano accopparlo, mutò registro, fingendo d’essere inquieto, colla vocetta fessa:

— Che?... Lui pure? Cosa vogliono dunque?... Dove andiamo di questo passo?

Mèndola gli spiegò che don Gesualdo era il pretesto per dare addosso ai più denarosi; ma lì non sarebbero venuti a cercarne dei denari. Il vecchio accennava di no anche lui, guardando intorno, con quel sorrisetto agro sulla bocca sdentata.

Erano due stanzacce invecchiate con lui, nelle quali ogni sua abitudine aveva lasciato l’impronta: la macchia d’unto dietro la seggiola su cui appisolavasi dopo pranzo, i mattoni smossi in quel breve tratto fra l’uscio e la finestra, la parete scalcinata accanto al letto dove soleva accendere il lume. E in quel sudiciume il marchese ci stava come un principe, sputando in faccia a tutti quanti le sue miserie.

— Scusate, signori miei, se vi ricevo in questa topaia... Non è pel vostro merito, don Gesualdo... La bella parentela che avete presa, eh?...

Sul vecchio canapè addossato al muro, puntellandolo cogli stessi mattoni rotti, improvvisarono alla meglio un letto per don Gesualdo che non stava più