Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/485

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in piedi, mentre il marchese continuava a brontolare:

— Guardate cosa ci capita! Ne ho viste tante! Ma questa qui non me l’aspettavo...

Pure gli offrì di dividere con lui la scodella di latte in cui aveva messo a inzuppare delle croste di pane.

— Son tornato a balia, vedete. Non ho altro da offrirvi a cena. La carne non è più pei miei denti, nè per la mia borsa... Voi sarete avvezzo a ben altro, amico mio... Che volete farci? Il mondo gira per tutti, caro don Gesualdo!...

— Ah! — rispose lui. — Non è questo, no, signor marchese. È che lo stomaco non mi dice. L’ho pieno di veleno! Un cane arrabbiato ci ho.

— Bene, — dissero gli altri. — Ringraziate Iddio. Qui nessuno vi tocca.

Fu un colpo tremendo per mastro— don Gesualdo. L’agitazione, la bile, il malanno che ci aveva in corpo... La notte passò come Dio volle. Ma il giorno dopo, all’avemaria, tornò Mèndola intabarrato, col cappello sugli occhi, guardandosi intorno prima d’infilar l’uscio.

— Un’altra adesso! — esclamò entrando. — Vi hanno fatto la spia, don Gesualdo! E vogliono stanarvi anche di qua per costringervi a mantenere ciò che ha promesso il canonico... Ciolla in persona... l’ho visto laggiù a far sentinella...