Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/490

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ansando se smuoveva una seggiola, fermandosi ogni momento per piantarsi dinanzi a lui colle mani sul ventre enorme, e ricominciare le lagnanze contro i parenti di don Ferdinando che le lasciavano quel poveretto sulle spalle, lesinandogli il pane e il vino. — Sissignore, l’hanno tutti dimenticato, lì nel suo cantuccio, come un cane malato!... Ma io il cuore non mi dice... Siamo stati sempre vicini... buoni servi della famiglia... una gran famiglia... Il cuore non mi dice, no!

Dietro di lei veniva una masnada di figliuoli che mettevano ogni cosa a soqquadro. Poi sopraggiunse Speranza strepitando che voleva vedere suo fratello, quasi egli stesse per rendere l’anima a Dio.

— Lasciatemi entrare! È sangue mio infine! Ora ch’è in questo stato mi rammento solo di essere sua sorella. — Lei, il marito, i figliuoli. Mise a rumore tutto il vicinato. Don Gesualdo lasciò il letto sbuffando. Non lo avrebbero tenuto le catene.

— Voglio tornare a casa mia! Che ci sto a fare qui? Tanto, lo sanno tutti!...

A gran stento lo indussero ad aspettare la sera. E dopo l’avemaria, quatti quatti, Burgio e tutti i parenti l’accompagnarono a casa. Speranza volle restare a guardia del fratello, giacchè trovavasi tanto malato, e per miracolo quella notte non gli avevano messo ogni cosa a sacco e ruba.