Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/494

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Sembrava diventato un bambino. Non si riconosceva più. Allorchè Diodata, sentendo ch’era tanto malato, volle andare a visitarlo e a chiedergli perdono per la mancanza che gli avevano fatto i suoi ragazzi, la notte della sommossa, rimase di stucco al vederlo così disfatto, che puzzava di sepoltura, e gli occhi che a ogni faccia nuova diventavano lustri lustri.

— Signor don Gesualdo... son venuta a vedervi perchè mi hanno detto che siete in questo stato... Dovete perdonare... a quegli screanzati che vi hanno offeso... Ragazzi senza giudizio... Si son lasciati prendere in mezzo, senza sapere quello che facessero... Dovete perdonare per amor mio, signor don Gesualdo!...

E si vedeva che parlava sincera, la poveretta, con quel viso, mandando giù, per nasconderle, le lagrime che a ogni parola le tornavano agli occhi, cercando di pigliargli la mano per baciargliela. Egli faceva un gesto vago, e scuoteva il capo, come a dire che non gliene importava, oramai. In quella sopravvenne Speranza, e fece una partaccia a quella sfacciata che veniva a tentarle il fratello in fin di vita, per cavargli qualcosa, per pelarlo sino all’ultimo. Una sanguisuga. Ci s’era ingrassata alle spalle di lui! Non le bastava? Ora calavano i corvi, all’odor del carname. Il malato chiudeva gli occhi per sfuggire quel supplizio, e agitavasi nel letto come al sopraggiungere