Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/54

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Dal seggiolone dove era rannicchiato il marchese Limòli sorse allora la vocetta fessa di lui:

— Servitevi, servitevi pure! Già son sordo, lo sapete.

Il barone Zacco, rosso come un peperone, rientrò dal balcone, senza curarsi del santo, sfogandosi col notaro Neri:

— Tutta opera del canonico Lupi!... Ora mi cacciano fra i piedi anche mastro-don Gesualdo per concorrere all’asta delle terre comunali!... Ma non me le toglieranno! dovessi vendere Fontanarossa, vedete! Delle terre che da quarant’anni sono nella mia famiglia!...

Tutt’a un tratto, sotto i balconi, la banda scoppiò in un passodoppio furibondo, rovesciandosi in piazza con un’onda di popolo che sembrava minacciosa. La signora Capitana si tirò indietro arricciando il naso.

— Che odore di prossimo viene di laggiù!

— Capite? — seguitava a sbraitare il barone Zacco — delle terre che pago già a tre onze la salma! E gli par poco!

Il notaro Neri, che non gli piaceva far sapere alla gente i fatti suoi, si rivolse alla signora Capitana, scollacciata ch’era un’indecenza, col pretesto che si faceva mandare i vestiti da Palermo, la quale civettava in mezzo a un gruppo di giovanotti.

— Signora Capitana! signora Capitana! Così rubate la festa al santo! Tutti gli voltano le spalle!