Pagina:Matilde Serao Il ventre di Napoli, 1906.djvu/31

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Bisogna sventrare Napoli 19

l’aspettava, ogni sera, seduto sullo scalino del basso. Diceva il medico dell’assistenza pubblica: «levagli il latte, che ti si ammala». Ella chinava il capo: non poteva levargli il latte. Si ammalò di tifo, il bimbo; le morì. Ella mondava le patate, in una cucina, e si lamentava, sottovoce: «figlio mio, figlio mio, io t’aveva da uccidere, io t’aveva da fa muri / O che mamma cana che ssò stata / Figlio mio, e chi m’aspetta cchiù, la sera, mocc’ a porta?

Il lavoro dei fanciulli? Ahimè, le madri sono molto contente, quando un cocchiere signorile vuol prendere per mozzo un fanciullo di dodici anni, dandogli solo da mangiare; sono molto contente, quando un mastro di bottega lo piglia, facendolo lavorare come un cane e dandogli solo la minestra, la sera; la pietosa madre gli dà un soldo per la colezione, la mattina.

Le sarte, le modiste, le fioraie, le bustaie, prendono per apprendiste delle fanciullette dodicenni, che sono, in realtà, delle piccole serve e che guadagnano cinque soldi la settimana. Ma, per lo più, queste creature restano a casa o nella strada, tutto il giorno.

Nelle campagne, il figlio è una gioia, è un soccorso, è una sorgente di agiatezza; in Napoli rap-