Pagina:Maturin - Melmoth, I, 1842.djvu/393

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ciare e che non siano più in grado d’inseguire la preda. Noi non ardivamo indirizzarci la parola; perchè i nostri discorsi non avrebbero servito che ad aumentare reciprocamente la nostra disperazione.

Questi momenti, che sembrarono eterni, erano nondimeno sul punto di terminare. Ad un tratto il mio compagno si alza e manda un grido di gioia. Io sulle prime lo credetti alienato di mente, ma non lo era perchè si mise ad esclamare: la luce! la luce! veggo la luce del cielo! noi siamo vicini alla cateratta! veggo il giorno! In mezzo all’orrore, che ne circondava, egli non avea cessato di tenere gli sguardi rivolti in alto, giacchè sapeva, che, purchè fossimo stati vicino alla cateratta, il più debole raggio di luce sarebbe stato visibile per motivo della oscurità, nella quale ci trovavamo. Egli aveva ragione, mi alzai con prestezza e scorsi la luce ancor io: da principio era quasi impercettibile, ma a poco a poco quel tenuissimo raggio cominciò a dilatarsi e divenir più brillante. Do-