Pagina:Maturin - Melmoth, I, 1842.djvu/402

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so una maledizione irrevocabile ed una invincibile necessità. Noi rimanemmo dunque quivi in vicinanza della cateratta e senza comunicarci a vicenda i nostri pensieri. Ad un tratto la luce disparve: io non sapeva a che attribuire quel fenomeno, quando sentii piovere così dirottamente che non credo ne sia mai caduta in tanta copia, la quale penetrando per le fenditure della cateratta in meno di cinque minuti m’inondò completamente. Abbandonai il luogo dove io era, ma già era bagnato fino alle midolle. La pioggia fu seguita da un colpo di fulmine tanto violento, che immaginai Iddio venisse a raggiungermi negli abissi, ove io cercava di fuggire dalla sua giusta vendetta. Le bestemmie del mio compagno superarono quasi il fragore del tuono, cialmente quando sentissi tutto baguato e che l’acqua gli arrivava sino alla metà della gamba. Allora mi propose di ritirarci ove non potessimo essere offesi dall’acqua. Quando fummo arrivati in un luogo più