Pagina:Maturin - Melmoth, II, 1842.djvu/366

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egli dunque al suo appartamento, invitando il suo nuovo conoscente a seguirlo.

Eccolo dunque collocato nella miserabil sala di un albergo spagnuolo, la cui apparenza, quantunque triste e solitaria, era però conveniente alla storia stravagante e maravigliosa, che l’uno de’ due interlocutori voleva all’altro raccontare. Le muraglie erano nude e disadorne, nel soffitto si vedevano delle nere e mal connesse travi, e per mobili non v’era che un tavolino, vicino al quale don Francesco occupava un’enorme poltrona ed il suo compagno uno sgabello sì basso, che sembrava essere assiso ai piedi di lui. Sulla tavola era posata una lucerna, la cui fiamma ondeggiante al soffio del vento, che penetrava sibilando per le molte fenditure della porta, rifletteva alternativamente sulla fisonomia del lettore, che non poteva fare a meno di non rabbrividire dall’orrore leggendo; e su quella del suo uditore, che impallidiva alla relazione, che stava ascoltando. La tempesta che andava raf-