Pagina:Mazzini - Scritti editi e inediti, LXIX.djvu/335

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ALLA REDAZIONE DEhV UFI TÀ ITALIANA.

Aviici, So che serpeggia^ a disegno, uoll’alte sfere governative di Torino, l’accusa ch’io proniovo coll’opera mia le diserzioni nel nostro esercito, e so che l’accusa è giunta — probabilmente a sviare piú sempre, con vani terrori, la monarchia dal debito suo verso Roma e Venezia — fino all’orecchio del re. Né mi stupirei s’egli, ignaro della virtú patria ch’è in noi, e aggirato dai miseri faccendieri che lo circondano, prestasse fede ali" accusa villana.

A me, individualmente, poco importa dell’opinione ch’abbia sul conto mio un re qual ch’ei siasi; ma importa al paese, che né «gli né altri abbia pretesti plausibili per tentennar sulla via e dire: io debbo guardarmi anzi tutto dalle male arti dei reyubblicani: importa che T esperimento, accettato lealmente da noi, a vedere se 1" Unitá della Patria possa fondarsi dalla Monarchia, si consumi senza diffidenze ingiuste e mal fondati sospetti, coi soli ostacoli, sormontabili dall’accordo di tutti, che lo straniero, nemico oggimai aperto in Roma quanto in Venezia, frappone. Però respingo con profondo sdegno e dolore l’accusa: con profondo sdegno, perché la calunnia sistematicamente avventata irrita pur sempre, comunque sprezzata, a