Pagina:Melloni - Relazione intorno al dagherrotipo, Napoli, 1839.djvu/20

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nell’acqua, e le doppie decomposizioni de’ ioduri mediante le soluzioni de’ solfiti. Laonde per dar ragione in poche parole del modo con cui le due immersioni agiscono sulla lamina dagherriana, si dirà che il primo liquido scioglie, e leva del tutto lo strato più o meno smosso d’ioduro, ed il secondo toglie ogni particella di solfito che potrebbe, per avventura, rimaner aderente alla lamina.

Queste dilucidazioni vengono mirabilmente confermate dalle osservazioni dirette; poichè i quadri del Dagherre sottoposti ad un microscopio di grande energia si mostran tutti bianchi, ed interamente coperti di goccioline di mercurio nelle parti che rappresentano i lumi; i globetti si fan più radi nelle mezze tinte; e le ombre son lisce, e prive affatto di codeste escrescenze microscopiche.

I disegni ottenuti col Dagherrotipo risulterebbero pertanto dal complesso di alcune porzioni più o meno imbiancate e granite dal mercurio, sul fondo piano, pulito, e lustro dell’argento.

Per intendere appieno l’effetto del chiaroscuro in questi disegni basterà por mente al lavoro degli orefici sui vasi ed utensili d’argento i quali «mentre sono solamente bolliti nel bianchimento appariscon tutti candidi come la neve, ma se in alcune parti si bruniscono, in quelle subito diventano oscuri. Il divenire oscuro non procede da altro che dall’essersi spianata una finissima grana1», totalmente analoga alle nostre goccio-

  1. Queste parole, sì direttamente applicabili al nostro scopo, son quelle stesse di cui si valeva l’immortal Galileo, nella prima giornata de’ suoi dialoghi, per mostrare che se vi fossero mari o laghi nella Luna, essi dovrebbero trovarsi nelle macchie, e non già nelle parti lucide del disco, come alcuni lo supponevano.