Pagina:Melloni - Relazione intorno al dagherrotipo, Napoli, 1839.djvu/22

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decomponente della luce sul cloruro d’argento, le attrazioni molecolari, e le leggi della riflessione, concordan tutte a convalidare la teorica del Donné, la quale, se non è peranchè rigorosamente provata dall’analisi, offre però tutti i caratteri di un ottimo raziocinio d’induzione e si mostra ben degna di essere onorevolmente iscritta negli annali della scienza.

Ma si ripigli la parte storica del nostro racconto.

Quando i pittori, i miniatori, gl’incisori, o qualunque altro maestro o intelligente delle arti del disegno, osservano per la prima volta i quadretti ottenuti col Dagherrotipo, essi rimangono come sbalorditi dalla perfezione di queste pitture naturali, e ammettono tutti, senza eccezione, essere quasi impossibile il figurarsi cosa più leggiadra, e più squisitamente condotta e finita in ogni sua parte. La precisione e la morbidezza de’ contorni, la dolcezza de’ lumi, la trasparenza delle ombre, la soavità delle sfumature, gli effetti di rilievo e di prospettiva, tutte in somma le qualità desiderabili in un disegno a chiaroscuro, vi si trovano congiunte senza nuocersi a vicenda, come avverrebbe immancabilmente nelle opere dell’arte, ove il finito dai particolari non s’acquista che a detrimento dell’effetto totale, la forza, a detrimento della delicatezza, il tondeggiare de’ contorni, a detrimento della loro visibilità, e via dicendo.

Le dimensioni de’ corpi vi sono ridotte in miniatura con una esattezza per così dire matematica; e però le proporzioni relative delle varie parti che compongono il quadro vengono rappresentate con una precisione uguale, se non superiore, a quella dei più accurati disegni eseguiti col compasso o col pantografo.

Per mostrar poi sino a quel segno è spinta l’imitazione