Pagina:Melloni - Relazione intorno al dagherrotipo, Napoli, 1839.djvu/23

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nei lavori fotografici del Dagherre, basterà dire che gli oggetti non ben discernibili ad occhio nudo, a cagione della lontananza, rimangono tali anche nella copia, per quanto vengano guardati da vicino. Ma si dirigga sullo sfondo una lente microscopica, e le cose appena indicate e confuse degli ultimi piani appariranno tosto chiare, precise, finite nelle menome loro particolarità, come succede per l’appunto in natura quando si mirano col conocchiale gli oggetti posti sui limiti dell’orizzonte.

Tante perfezioni, riunite alla somma facilità e prontezza del metodo, hanno destato un entusiasmo universale. Dappertutto si ripetono le sperienze del Dagherrotipo, ognuno vorrebbe avere tra le mani questo prezioso strumento, ognuno bramerebbe impiegarlo, il più presto possibile, a ritrarre, non solo stampe, disegni, statue, monumenti, ma i quadri ad olio dei nostri più celebri artisti, i più bei mazzi di fiori, e le variopinte farfalle. Invano si disse dell’Arago, dal Gay-Lussac che il Dagherrotipo non poteva servire a copiare gli oggetti colorati; moltissimi sperano tuttavia ottenere sulle lamine dagherriane, se non i vivi e svariati colori che ci presentano la natura ed il genio delle arti, al meno le loro traduzioni esatte in chiaroscuro. Anzi abbiam udito non pochi pittori proporsi di studiare queste copie con gran frutto rispetto alle intensità relative delle tinte, ed ai punti ove devon figurarsi nelle loro composizioni ad olio la massima e la minima illuminazione.

Ci duole l’animo di non poter confermarli in codeste lusinghe; ma l’amore della verità ed il nostro assunto ne fanno un dovere di rischiarare, per quanto dipende da noi, le menti illuse, e mettere in evidenza i gravi errori ove potrebbero in-


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