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polo. Era detto congiario dalla parola congius, specie di misura che si usava appunto nella sudetta distribuzione di aridi e di liquidi1.

Traiano ne largì tre, i quali ebbero il merito di essere ispirati dall’amore che egli nutriva pel suo popolo, e che si cattivava da questo, mentre gli altri principi nel dispensare panem et circenses al popolo miravano a renderselo schiavo. Egli «Amari a civibus cupiebat magis quam honore affici2

Ed ei fu si largo nel dispensarlo che non ne volle esclusi coloro che erano stati indebitamente iscritti in luogo dei radiati. Al qual proposito è a chiarire che gli ammessi al benefizio del congiario erano iscritti in certe tavole; e, se di essi alcuno moriva o abbandonava la patria, veniva cancellato dal ruolo, e in suo luogo altri non poteva essere iscritto senza determinazione imperiale. Traiano, non tenendo conto veruno di queste rigorose prescrizioni, con somma liberalità ammise al congiario anche coloro che indebitamente erano stati iscritti nel posto dei radiati3.

Plinio nel suo panegirico a Traiano ci descrive con vivi colori un congiario; laonde, per la migliore intelligenza di questo quadro, torna utile riferirne alcuni brani; e il lettore me ne saprà grado.

»Con quale benignità poi fu dispensato il congiario? Quanto vi fu a cuore che niuno restasse privo della vostra liberalità? Fu dato eziandio a coloro che dopo il vostro editto erano stati sostituiti ai cassati, e furono adeguati agli altri coloro ai quali non era stato promesso. Chi dai suoi negozii, chi da indisposizione, questi dal mare, quegli dai fiumi trovavasi impedito: si aspettò, e si fece in maniera che niuno fosse ammalato, niuno occupato, niun lontano: venisse pure ognuno a suo piacimento, venisse ognuno quando avesse potuto…4»

»Giunto il giorno del congiario, stormi di fanciullini, che era-

  1. Montfauçon, tom. I, pag. 355.
  2. Sifilino, comp. di Dione, nella vita di Traiano.
  3. Plinio, paneg. cap. XXV. o annotaz. al detto capit. del traduttore Pio Alessandro Paravia e di E. Gros, Venezia, Gius. Antonelli, 1837.
  4. Capit. XXV.