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arco traiano | 65 |
Nel terzo timpano (Tav. XII), che è quello a sinistra di chi guarda, sulla facciata esterna, è scolpita una figura muliebre giacente, con la testa appoggiantesi alla mano sinistra, e col gomito premente un otre o altro utensile, da cui scaturisce acqua. Porta nella destra un oggetto che ben non si ravvisa più che dinoti; ma che probabilmente è un ramo di pianta lacustre. Ha le chiome discinte in due bande, che escono di sotto ad una specie di panno annodato sul fronte e scendono sugli omeri. È denudata sino al pube, donde, sino ai piè, è ricoperta di un drappo, che lascia mostrare soltanto il piede sinistro. Un panneggiamento forma un primo svolazzo presso la serraglia, indi, passando per di sotto il gomito, va ad ondeggiare riccamente per di dietro la testa, donde scende a ripassare per di sotto l’avambraccio destro, e finalmente si dispiega in un terzo svolazzo (oggi interrotto per la rottura del marmo) che termina sin presso il capitello. Sul fondo sono scolpite alcune piante lacustri nei tre spazii lasciati liberi dal corpo e dalle vesti; di sotto la figura appariscono le onde. Meno che per le due piccole cennate avarie, questa figura è quasi intatta, massime nel volto, che si conserva inalterato.
È indubitato che questa rappresenti un fiume, ma nè il Reno, come vorrebbe Rossi1, per indicare la Dacia, nè l’Eufrate, come riporta Isernia2, il quale scambia in questo caso la figura muliebre con l’altra virile del quarto timpano. Più probabilmente questa figura di donna fu messa a rappresentare la fiumana Sargezia, sotto cui Decebalo aveva nascosi i tesori della Dacia, che furono scoperti dalie legioni romane guidate da Traiano3.
Sifilino4 così narra il fatto: «Thesauri Decebali quanquam in Sargetia flumine, non procul a regia eius repositi erant, inventi sunt. Decebalus enim flumine opera captivorum averso, perfossoque alveo, magnam vim argenti aurique, tum preciosissimas quasque res atque delicatissimas, quae conservari poterant, eo congesserat, iisque rebus magnis lapidibus aggeri-