Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/207

Da Wikisource.

atto secondo 201


diviso ancor fra noi
di tante colpe tue fosse il rossore.
E di viltá Catone,
temerario! cosí tentando vai?
Posso ascoltar di piú!
Cesare.  (Son stanco ormai.)
Troppo cieco ti rende
l’odio per me: meglio rifletti. Io molto
finor t’offersi, e voglio
offrirti piú. Perché fra noi sicura
rimanga l’amistá, darò di sposo
la destra a Marzia.
Catone.  Alla mia figlia?
Cesare.  A lei.
Catone. Ah! prima degli dèi
piombi sopra di me tutto lo sdegno,
ch’io l’infame disegno
d’opprimer Roma ad approvar m’induca
con l’odioso nodo. Ombre onorate
de’ Bruti e de’ Virgini, oh come adesso
fremerete d’orror! Che audacia, oh numi!
E Catone l’ascolta?
E a proposte sí ree... (s’alzano)
Cesare.  Taci una volta:
hai cimentato assai
la tolleranza mia. Che piú degg’io
soffrir da te? Per tuo riguardo il corso
trattengo a’ miei trionfi; io stesso vengo,
dell’onor tuo geloso, a chieder pace;
de’ miei sudati acquisti
ti voglio a parte; offro a tua figlia in dono
questa man vincitrice; a te cortese,
per cento offese e cento
rendo segni d’amor: né sei contento?
Che vorresti, che aspetti,
che pretendi da me? Se d’esser credi