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100 ii - siroe


quasi inerme fanciullo, armi non trova,
onde contrasti al suo destin crudele,
che infecondi sospiri e che querele?
Siroe. Che posso far?
Emira.  Che puoi?
Tutto potresti. A tuo favor di sdegno
arde il popol fedele. Un colpo solo
il tuo trionfo affretta,
ed unisce alla tua la mia vendetta.
Siroe. Che mi chiedi, mia vita?
Emira.  Un colpo io chiedo
necessario per noi. Sai qual io sia?
Siroe. Lo so: l’idolo mio,
l’indica principessa, Emira sei.
Emira. Ma quella io sono, a cui da Cosroe istesso
Asbite, il genitor, fu giá svenato;
ma son quella infelice,
che sotto ignoto ciel, priva del regno,
erro lontan dalle paterne soglie,
per desio di vendetta, in queste spoglie.
Siroe. Oh Dio! per opra mia
nella reggia t’avanzi, e giungi a tanto
che di Cosroe il favor tutto possiedi;
e, ingrata a tanti doni,
puoi rammentarti e la vendetta e l’ira?
Emira. Ama Idaspe il tiranno, e non Emira.
Pensa, se tua mi brami,
ch’io voglio la sua morte.
Siroe.  Ed io potrei
da Emira essere accolto
immondo di quel sangue
e coll’orror d’un parricidio in volto?
Emira. Ed io potrei, spergiura,
veder del padre mio l’ombra negletta,
pallida e sanguinosa
girarmi intorno e domandar vendetta;