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102 ii - siroe


SCENA V

Laodice e detti.

Emira.  Alfin giungesti
a consolar, Laodice, un fido amante.
Oh quante volte, oh quante
ei sospirò per te!
Laodice.  L’afferma Idaspe:
il crederò.
Emira.  Ti dirá Siroe il resto.
Siroe. (Che nuovo stil di tormentarmi è questo!)
Laodice. E potrei lusingarmi
che s’abbassi ad amarmi,
prence illustre, il tuo cor? (a Siroe)
Emira.  Per te sicuro
è l’amor suo.
Siroe.  Per lei! (piano ad Emira)
Emira.  Taci, spergiuro! (piano a Siroe)
Laodice. E rende amor sí poco
il suo labbro loquace?
Emira. Sai che un fido amatore avvampa e tace.
Laodice. Ma il silenzio del labbro
tradiscon le pupille; ed ei né meno
gira un guardo al mio volto: anzi, confuso,
stupidi fissa in terra i lumi suoi.
Direi che disapprova i detti tuoi.
Emira. Eh! Laodice, t’inganni.
Siroe tu non conosci: io lo conosco.
D’Idaspe egli ha rossore.
Siroe. Non è vero, idol mio! (piano ad Emira)
Emira. (piano a Siroe)  Sí, traditore!
Laodice. Siroe rossor! Sinora
taccia non ha; ma, se v’è taccia in lui,
sai che è l’ardir, non la modestia.
Emira.  Amore