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ATTO PRIMO

SCENA I

Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze, con trono da un lato. Veduta in prospetto della cittá di Cartagine, che sta edificandosi.

Enea, Selene, Osmida.

Enea. No, principessa, amico:
sdegno non è, non è timor che move
le frigie vele e mi trasporta altrove.
So che m’ama Didone;
pur troppo il so; né di sua fé pavento.
L’adoro, e mi rammento
quanto fece per me: non sono ingrato.
Ma ch’io di nuovo esponga
all’arbitrio dell’onde i giorni miei
mi prescrive il destin, voglion gli dèi;
e son sí sventurato,
che sembra colpa mia quella del fato.
Selene. Se cerchi a lungo error riposo e nido,
te l’offre in questo lido
la germana, il tuo merto e il nostro zelo.
Enea. Riposo ancor non mi concede il cielo.
Selene. Perché?
Osmida.  Con qual favella
il lor voler ti palesâro i numi?