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110 ii - siroe


Laodice. (Che mai sará?)
Cosroe. (legge)  «Cosroe, chi credi amico,
insidia la tua vita. In questo giorno
il colpo ha da cader. Temi in ciascuno
il traditor. Morrai, se i tuoi piú cari
della presenza tua tutti non privi.
Chi t’avvisa è fedel; credilo, e vivi».
Laodice. Gelo d’orrore.
Cosroe.  E qual pietá crudele
è il salvarmi cosí? Da mano ignota
mi vien l’avviso, e mi si tace il reo!
Dunque temer degg’io
gli amici, i figli? In ogni tazza ascosa
crederò la mia morte? In ogni acciaro
la minaccia crudel vedrò scolpita?
E questo è farmi salvo? E questa è vita?
Siroe. (Misero genitor!)
Medarse.  (Non si trascuri
sì opportuna occasion.)
Cosroe.  Medarse tace?
Laodice non favella?
Laodice.  Io son confusa.
Medarse. S’io non parlai finor, volli al tuo sdegno
un reo celar, che ad ambi è caro. Alfine,
quando giunge all’estremo il tuo cordoglio,
non ho cor di tacerlo. È mio quel foglio.
Siroe. (Ah, mentitor!)
Cosroe.  L’empio conosci, e ancora
l’ascondi all’ira mia?
Medarse. (s’inginocchia)   Padre adorato,
perdona al traditor: basti che salvi
siano i tuoi giorni. Ah! non voler nel sangue
di questo reo contaminar la mano.
Chi t’insidia è tuo figlio, è mio germano.
Siroe. (Che tormento è tacer!)
Cosroe.  Sorgi. A Medarse
chi l’arcano scoprì?