Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/147

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atto terzo 141


Laodice. Ah, che ingannato sei! Sospendi il cenno.
Nell’amor tuo giammai
il prence non t’offese; io t’ingannai.
Cosroe. Che dici!
Laodice.  Amore invano
chiesi da Siroe, e il suo disprezzo volli
con l’accusa punir.
Cosroe.  Tu ancor tradirmi?
Laodice. Sí, Cosroe, ecco la rea:
questa s’uccida, e l’innocente viva.
Cosroe. Innocente chi vuol la morte mia?
Viva chi t’innamora?
È reo di fellonia;
è reo perché ti piace, e vuo’ che mora.
Laodice. La vita d’un tuo figlio è sí gran dono,
ch’io temeraria sono,
se spero d’ottenerlo. A che giovate,
sembianze sfortunate?
Se placarti non sanno,
mai non m’amasti, e fu l’amore inganno.
Cosroe. Pur troppo, anima ingrata, io t’adorai.
Fin della Persia al trono
sollevarti volea; né tutto ho detto.
Ho mille cure in petto,
ti conosco infedele;
e pur, chi ’l crederia? nell’alma io sento
che sei gran parte ancor del mio tormento.
Laodice. Dunque alle mie preghiere
cedi, o signor. Sia salvo il prence, e poi
uccidimi, se vuoi. Sarò felice
se il mio sangue potrá...
Cosroe.  Parti, Laodice.
Chiedendo la sua vita,
colpa gli accresci, e il tuo pregar m’irríta.
               Laodice. Se il caro figlio
          vede in periglio,