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atto terzo | 155 |
Laodice. Anch’io son rea;
vengo al giudice mio: l’incendio acceso
in gran parte io destai.
Cosroe. Siroe è l’offeso.
Siroe. Nulla Siroe rammenta. E tu, mio bene, (ad Emira)
deponi alfin lo sdegno. Ah! mal s’unisce
con la nemica mia la mia diletta:
o scòrdati l’amore o la vendetta.
Emira. Piú resister non posso. Io, con l’esempio
di sí bella virtú, l’odio abbandono.
Cosroe. E, perché quindi il trono
sia per voi di piacer sempre soggiorno,
Siroe sará tuo sposo.
Emira e Siroe. Oh lieto giorno!
Cosroe. Ecco, Persia, il tuo re. Passi dal mio
su quel crin la corona: io, stanco alfine,
volentier la depongo. Ei, che a giovarvi
fu da’ prim’anni inteso,
saprá con piú vigor soffrirne il peso.
(siegue l’incoronazione di Siroe)
Coro.
I suoi nemici affetti
di sdegno e di timor
il placido pensier
piú non rammenti.
Se nascono i diletti
dal grembo del dolor,
oggetto di piacer
sono i tormenti.