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226 iii - catone in utica


tacete a me: sol questa indegna oscura
la gloria mia.
Marzia.  Che crudeltá! Deh! ascolta
i prieghi miei. (a Catone)
Catone.  Taci.
Marzia. (s’inginocchia) Perdona, o padre;
caro padre, pietá. Questa, che bagna
di lagrime il tuo piede, è pur tua figlia.
Ah! volgi a me le ciglia,
vedi almen la mia pena;
guardami una sol volta, e poi mi svena.
Arbace. Plácati alfine. (a Catone)
Catone. (a Marzia) Or senti:
se vuoi che l’ombra mia vada placata
al suo fatal soggiorno, eterna fede
giura ad Arbace; e giura
all’oppressore indegno
della patria e del mondo eterno sdegno.
Marzia. (Morir mi sento.)
Catone.  E pensi ancor? Conosco
l’animo avverso. Ah! da costei lontano
lasciatemi morir.
Marzia.  No, padre, ascolta: (s’alza)
tutto farò. Vuoi che ad Arbace io serbi
eterna fé? La serberò. Nemica
di Cesare mi vuoi? Dell’odio mio
contro lui ti assicuro.
Catone. Giuralo.
Marzia.  (Oh Dio!) Su questa man lo giuro.
 (prende la mano di Catone, e la bacia)
Arbace. Mi fa pietá.
Emilia.  (Che cangiamento!)
Catone. (abbraccia Marzia)  Or vieni
fra queste braccia, e prendi
gli ultimi amplessi miei, figlia infelice.
Son padre alfine; e nel momento estremo