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272 iv - ezio


Ezio. Tu, per soverchio affetto, ove non sono
ti figuri i perigli.
Fulvia.  E dove fondi
questa tua sicurezza?
Forse nel tuo valor? Ezio, gli eroi
son pur mortali, e il numero gli opprime.
Forse nel merto? Ah! che per questo, o caro,
sventure io ti predico:
il merto appunto è il tuo maggior nemico.
Ezio. La sicurezza mia, Fulvia, è riposta
nel cor candido e puro,
che rimorsi non ha; nell’innocenza,
che paga è di se stessa; in questa mano,
necessaria all’impero. Augusto alfine
non è barbaro o stolto:
e, se perde un mio pari,
conosce anche un tiranno
qual dura impresa è ristorarne il danno.

SCENA VI

Varo con pretoriani, e detti.

Fulvia. Varo, che rechi?
Ezio.  È salva
di Cesare la vita? Al suo riparo
può giovar l’opra mia?
Che fa?
Varo.  Cesare appunto a te m’invia.
Ezio. A lui dunque si vada.
Varo. Non vuol questo da te; vuol la tua spada.
Ezio. Come!
Fulvia.  Il previdi!
Ezio.  E qual follia lo mosse?
E possibil sará?