Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/37

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atto secondo 31


Felice me, se mai
tu non giungevi, ingrato, a questi lidi!
Enea. Se sprezzi il tuo periglio,
donalo a me: grazia per lui ti chieggio.
Didone. Sí, veramente io deggio
il mio regno e me stessa al tuo gran merto.
A sí fedele amante,
ad eroe sí pietoso, a’ giusti prieghi
di tanto intercessor nulla si nieghi.
 (va al tavolino)
Inumano! tiranno! È forse questo
l’ultimo dí che rimirar mi déi:
vieni sugli occhi miei;
sol d’Arbace mi parli, e me non curi!
T’avessi pur veduto
d’una lagrima sola umido il ciglio!
Uno sguardo, un sospiro,
un segno di pietade in te non trovo.
E poi grazie mi chiedi?
Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora?
Perché tu lo vuoi salvo, io vuo’ che mora.
 (soscrive)
Enea. Idol mio, ché pur sei
ad onta del destin l’idolo mio,
che posso dir? Che giova
rinnovar co’ sospiri il tuo dolore?
Ah! se per me nel core
qualche tenero affetto avesti mai,
placa il tuo sdegno e rasserena i rai.

Quell’Enea tel domanda,
che tuo cor, che tuo bene un dí chiamasti;
quel che sinora amasti
piú della vita tua, piú del tuo soglio;
quello...
Didone.  Basta; vincesti: eccoti il foglio.
Vedi quanto t’adoro ancora, ingrato!