Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/52

Da Wikisource.
46 i - didone abbandonata


Enea. Vengo. Restate, amici, (alle sue genti)
ché ad abbassar quel temerario orgoglio
altri che il mio valor meco non voglio.
Eccomi a te. Che pensi?
Iarba. Penso che all’ira mia
la tua morte sará poca vendetta.
Enea. Per ora a contrastarmi
non fai poco, se pensi. All’armi!
Iarba.  All’armi! (mentre si battono, e Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono Enea)
Enea. Venga tutto il tuo regno.
Iarba. Difenditi, se puoi.
Enea.  Non temo, indegno! (i compagni d’Enea scendono in aiuto di lui ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra i troiani e i mori. I mori fuggono e gli altri li sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba, che cade)
Giá cadesti e sei vinto. O tu mi cedi,
o trafiggo quel core.
Iarba.  Invan lo chiedi.
Enea. Se al vincitor sdegnato
non domandi pietá...
Iarba.  Siegui il tuo fato.
Enea. Sí, mori... Ma che fo? No, vivi. Invano
tenti il mio cor con quell’insano orgoglio.
No, la vittoria mia macchiar non voglio. (parte)
Iarba. Son vinto sí, ma non oppresso. Almeno
oggetto all’ire tue, sorte incostante,
Iarba sol non sará.
          La caduta d’un regnante
     tutto un regno opprimerá. (parte)