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216 viii - adriano in siria


SCENA V

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Farnaspe.   Oh Dio! son quelle,

e sempre agli occhi miei sembran piú belle.
Adriano. (Costanza, o cor!) Vaga Emirena, osserva
. . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Emirena. Chi è, signor, questo stranier?
Farnaspe.   Straniero!
Adriano. E nol conosci?
Emirena.   Affatto
non m’è ignoto quel volto. Il vidi altrove...
N’ho ancor l’idea presente...
Ma... dove fu... non mi ritorna in mente.
(Che pena è il simular!)
Adriano.   Principe, è questa
colei che teco apprese
a vivere e ad amar?
Farnaspe.   Vedi che meco
gode scherzar.
Emirena.   Non ha sí lieto il core
chi si trova in catene.
Farnaspe. Né sai qual io mi sia?
Emirena.   Non mi sovviene.
(Che affanno!)
Adriano.   (Che piacer!)
Farnaspe.   Bella Emirena,
mi tormentasti assai.
Basta cosí. Che nuovo stile è questo
d’accoglier chi t’adora? Il tuo Farnaspe...
Emirena. Tu sei Farnaspe! Al nome
ti riconosco adesso.
Farnaspe.   Oh dèi!
Emirena.   Perdona
l’involontario oltraggio. Al tuo valore
so quanto debba il padre mio. Rammento
piú d’una tua vittoria,
e de’ meriti tuoi serbo memoria.