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atto secondo 27
Semiramide. (Io lo previdi.)

Mirteo.   (Oh sorte!)
Scitalce. (Ah, qual impegno!)
Sibari.   (Or s’avvicina a morte.)
Ircano. Via, Scitalce, che tardi? Il re tu sei.
Scitalce. (E deggio in faccia a lei
annodarmi a Tamiri?)
Tamiri. Egli è dubbioso ancora. (a Semiramide)
Semiramide. Alfin risolvi.
Scitalce.   E Nino
lo comanda a Scitalce?
Semiramide.   Io non comando:
fa’ il tuo dover.
Scitalce.   Sí, lo farò. (L’ingrata
si punisca cosí.) D’ogni altro amore
mi scordo in questo punto...
  (volendo bere, ma poi si arresta)
  (Ah, non ho core!)
Porgi a piú degno oggetto
il dono, o principessa: io non l’accetto.
  (posa la tazza sopra la mensa)
Tamiri. Come!
Sibari.   (Oh sventura!)
Ircano. (a Scitalce)  E lei ricusi, allora
che al regno ti destina?
Non s’offende in tal guisa una regina.
Semiramide. Qual cura hai tu, se accetta
o se rifiuta il dono? (ad Ircano)
Mirteo. Lascialo in pace.
Ircano. (a Semiramide)  Io sono
difensor di Tamiri; e tu non devi (a Scitalce)
la tazza ricusar: prendila e bevi.
Tamiri. Principe, invan ti sdegni: ei col rifiuto (ad Ircano)
non me, se stesso offende,
e al demerito suo giustizia rende.
Ircano. No, no; voglio ch’ei beva.