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140 xiii - la clemenza di tito


questa vicenda eterna

d’ardire e di viltá?
Sesto.   Vitellia, ascolta:
ecco, io t’apro il mio cor. Quando mi trovo
presente a te, non so pensar, non posso
voler che a voglia tua; rapir mi sento
tutto nel tuo furor; fremo a’ tuoi torti;
Tito mi sembra reo di mille morti.
Quando a lui son presente,
Tito, non ti sdegnar, parmi innocente.
Vitellia. Dunque...
Sesto.   Pria di sgridarmi,
ch’io ti spieghi il mio stato almen concedi.
Tu vendetta mi chiedi;
Tito vuol fedeltá. Tu di tua mano
con l’offerta mi sproni; ei mi raffrena
co’ benefizi suoi. Per te l’amore,
per lui parla il dover. Se a te ritorno,
sempre ti trovo in volto
qualche nuova beltá; se torno a lui,
sempre gli scopro in seno
qualche nuova virtú. Vorrei servirti;
tradirlo non vorrei. Viver non posso,
se ti perdo, mia vita; e, se t’acquisto,
vengo in odio a me stesso.
Questo è lo stato mio: sgridami adesso.
Vitellia. No, non meriti, ingrato!
l’onor dell’ire mie.
Sesto.   Pensaci, o cara,
pensaci meglio. Ah! non togliamo, in Tito,
la sua delizia al mondo, il padre a Roma,
l’amico a noi. Fra le memorie antiche
trova l’egual, se puoi. Fingiti in mente
eroe piú generoso o piú clemente.
Parlagli di premiar: poveri a lui
sembran gli erari sui.