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186 xiii - la clemenza di tito


Publio.   Pochi momenti

sono scorsi, o signor.
Tito.   Vanne tu stesso;
affrettalo.
Publio.   Ubbidisco. (nel partire) I tuoi littori
veggonsi comparir: Sesto dovrebbe
non molto esser lontano. Eccolo.
Tito.   Ingrato!
All’udir che s’appressa,
giá mi parla a suo pro l’affetto antico.
Ma no; trovi il suo prence e non l’amico.
  (siede e si compone in atto di maestá)

SCENA VI

Tito, Publio, Sesto e custodi. Sesto, entrato appena, si ferma.

Sesto. (Numi! è quello, ch’io miro, (guardando Tito)

di Tito il volto? Ah! la dolcezza usata
piú non ritrovo in lui. Come divenne
terribile per me!)
Tito.   (Stelle! ed è questo
il sembiante di Sesto? Il suo delitto
come lo trasformò! Porta sul volto
la vergogna, il rimorso e lo spavento.)
Publio. (Mille affetti diversi ecco a cimento.)
Tito. Avvicinati. (a Sesto con maestá)
Sesto.   (Oh voce
che mi piomba sul cor!)
Tito. (a Sesto con maestá)  Non odi?
Sesto. (s’avanza due passi e si ferma)  (Oh Dio!
mi trema il piè; sento bagnarmi il volto
da gelido sudore;
l’angoscia del morir non è maggiore.)