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20 xi - olimpiade
è una real beltá. La vidi appena,

che n’arsi e la bramai. Ma, poco esperto
negli atletici studi...
Megacle.   Intendo. Io deggio
conquistarla per te.
Licida.   Sí. Chiedi poi
la mia vita, il mio sangue, il regno mio:
tutto, o Megacle amato, io t’offro, e tutto
scarso premio sará.
Megacle.   Di tanti, o prence,
stimoli non fa d’uopo
al grato servo, al fido amico. Io sono
memore assai de’ doni tuoi: rammento
la vita che mi desti. Avrai la sposa:
speralo pur. Nella palestra eléa
non entro pellegrin. Bevve altre volte
i miei sudori, ed il silvestre ulivo
non è per la mia fronte
un insolito fregio. Io piú sicuro
mai di vincer non fui. Desio d’onore,
stimoli d’amistá mi fan piú forte.
Anelo, anzi mi sembra
d’esser giá nell’agon. Gli emuli al fianco
mi sento giá; giá li precorro; e, asperso
dell’olimpica polve il crine, il volto,
del volgo spettator gli applausi ascolto.
Licida. Oh dolce amico! (abbracciandolo) Oh cara
sospirata Aristea!
Megacle.   Che!
Licida.   Chiamo a nome
il mio tesoro.
Megacle.   Ed Aristea si chiama?
Licida. Appunto.
Megacle.   Altro ne sai?
Licida.   Presso a Corinto
nacque in riva all’Asopo, al re Clistene
unica prole.