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atto terzo 57


e renderla degg’io

illesa o vendicata a chi succede.
Obbligo di chi regna
necessario è cosí, come penoso,
il dover con misura esser pietoso.
Pur, se nulla ti resta
a desiar, fuor che la vita, esponi
libero il tuo desire. Esserne io giuro
fedele esecutor. Quanto ti piace,
figlio, prescrivi, e chiudi i lumi in pace.
Licida. Padre, ché ben di padre,
non di giudice e re, que’ detti sono,
non merito perdono,
non lo spero, nol chiedo e nol vorrei.
Afflisse i giorni miei
di tal modo la sorte,
ch’io la vita pavento e non la morte.
L’unico de’ miei voti
è il riveder l’amico
pria di spirar. Giá ch’ei rimase in vita,
l’ultima grazia imploro
d’abbracciarlo una volta, e lieto io moro.
Clistene. T’appagherò. Custodi! (alle guardie)
Megacle a me.
Alcandro.   Signor, tu piangi! E quale
eccessiva pietá l’alma t’ingombra?
Clistene. Alcandro, lo confesso,
stupisco di me stesso. Il volto, il ciglio,
la voce di costui nel cor mi desta
un palpito improvviso,
che lo risente in ogni fibra il sangue.
Fra tutti i miei pensieri
la cagion ne ricerco, e non la trovo.
Che sará, giusti dèi! questo ch’io provo?
          Non so donde viene
     quel tenero affetto,