Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto terzo | 113 |
t’espone a un grande errore;
tu vuoi servirla, e le trafiggi il core.
Tiridate. Ma perché? L’ama forse?
Egle. Ella?... Se brami...
Io dovrei... (Troppo dico.)
Tiridate. Ah! ti confondi.
Mitrane, io son di gel. Fu Radamisto
giá mio rival; sta in queste selve ascoso,
dov’è Zenobia ancora; ei la difende;
ella il volea seguir; me piú non cura;
Egle m’avverte... Ah! per pietá palesa,
pastorella gentil, ciò che ne sai.
Egle. Altro dir non poss’io: giá dissi assai.
Tiridate. Aimè! Qual fredda mano
mi si aggrava sul cor! che tormentoso
dubbio è mai questo! Io non ho piú riposo.
Si soffre una tiranna,
lo so per prova anch’io;
ma un’infedele, oh Dio!
no, non si può soffrir.
Ah! se il mio ben m’inganna,
se giá cambiò pensiero,
pria ch’io ne sappia il vero
fatemi, o dèi, morir. (parte)
SCENA VIII
Egle e Mitrane.
pietá sento di lui! qual pena io provo
nel vederlo penar! Quel dolce aspetto,
quel girar di pupille,
quel soave parlar, del suo tormento