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162 | xviii - attilio regolo |
alla patria ed a lui, senza che il padre
per ciò si salvi.
Barce. Amilcare, sorpreso
dal grand’atto di Publio e punto insieme
da’ rimproveri suoi, men generoso
esser non vuol di lui. Chi sa che tenta
e a qual rischio s’espone?
Attilia. Il mio Licinio
deh! secondate, o dèi.
Barce. Lo sposo mio,
numi, assistete!
Attilia. Io non ho fibra in seno
che non mi tremi.
Barce. Attilia,
non dobbiamo avvilirci. Alfin piú chiaro
è adesso il ciel di quel che fu: si vede
pur di speranza un raggio.
Attilia. Ah! Barce, è ver: ma non mi dá coraggio.
Non è la mia speranza
luce di ciel sereno;
di torbido baleno
è languido splendor:
splendor, che in lontananza
nel comparir si cela;
che il rischio, oh Dio! mi svela,
ma non lo fa minor. (parte)
SCENA XII
Barce sola.
l’alma d’Attilia oppressa:
ardir vo consigliando, e tremo io stessa.