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210 xix - antigono


Ismene. (con ironia)  Oh quanto, ancorché infido,

compatisco Alessandro! Essere amante,
vedersi disprezzar, son troppo invero,
troppo barbare pene.
Alessandro. Tanto per me non tormentarti, Ismene.
Ismene. L’ingrata Berenice
alfin pensar dovea che tu famosa
la sua beltá rendesti. Uguali andranno
ai dí remoti, e tu cagion ne sei,
Tessalonica a Troia, Elena a lei.
Alessandro. Forse m’ama per ciò.
Ismene.   T’ama?
Alessandro.   E mia sposa
oggi esser vuole.
Ismene.   (Oh dèi!) D’un cangiamento
tanto improvviso io la ragion non vedo.
Alessandro. Della pietá d’Ismene opra lo credo.
Ismene. Ah, crudeli mi deridi?
Alessandro.   Eh! questi nomi
d’infido e di crudel poni in obblio,
principessa, una volta. I nostri affetti
scelta non fûr, ma legge. Ignoti amanti,
ci destinâro i genitori a un nodo,
che l’anime non strinse. Essermi Ismene
grata d’un’incostanza alfin dovria;
onde il frutto è comun, la colpa è mia.
Ismene. E perché dunque amore
tante volte giurarmi?
Alessandro.   Io lo giurava
senza intenderlo allor. Credea che sempre,
alle belle parlando,
si parlasse cosí.
Ismene.   Tanta in Epiro
innocenza si trova?