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atto secondo | 211 |
SCENA VI
Antigono e detti.
Alessandro. I nostri sdegni,
amico re, son pur finiti: il cielo
al fin si rischiarò.
Antigono. Perché? Qual nuovo
parlar?
Alessandro. Vedesti il figlio?
Antigono. Nol vidi.
Alessandro. A lui dunque usurpar non voglio
di renderti contento
il tenero piacer. Parlagli, e poi
vedrai che fausto dí questo è per noi.
Dal sen delle tempeste,
d’un astro all’apparir,
mai non si vide uscir
calma piú bella.
Di nubi sí funeste
tutto l’orror mancò;
e a vincerlo bastò
solo una stella. (parte)
SCENA VII
Antigono ed Ismene.
Antigono. L’arcano io non intendo.
Ismene. È Berenice
giá d’Alessandro amante; a lui la mano
consorte oggi dará: questo è l’arcano.
Antigono. Che!
Ismene. L’afferma Alessandro.