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212 xix - antigono


Antigono.   E Berenice

disporrá d’una fede
che a me giurò? Di sí gran torto il figlio
mi sará messaggier? Mi chiama amico
per ischerno Alessandro? A questo segno
che fui re si scordò? No: comprendesti
male i suoi detti. Altro sará.
Ismene.   Pur troppo,
padre, egli è ver: troppo l’infido io vidi
lieto del suo delitto.
Antigono. Taci. E qual gioia hai di vedermi afflitto?
          Scherno degli astri e gioco
     se a questo segno io sono,
     lasciami almen per poco,
     lasciami dubitar.
          De’ numi ancor nemici
     pur è pietoso dono
     che apprendan gl’infelici
     sí tardi a disperar. (parte)

SCENA VIII

Ismene sola.

Ah! giá che amar chi l’ama

quel freddo cor non sa, perché, imitando
anch’io la sua freddezza,
non imparo a sprezzar chi mi disprezza?
          Perché due cori insieme
     sempre non leghi, Amore?
     e, quando sciogli un core,
     l’altro non sciogli ancor?
          A chi non vuoi contento,
     perché lasciar la speme
     per barbaro alimento
     d’un infelice ardor? (parte)